Ieri, Oggi, Domani: Fondriest una vita per la bici!

di , 3 ottobre 2015 19:35

fondriest con biciTra coloro che hanno scritto la storia del ciclismo italiano degli ultimi trent’anni c’è sicuramente Maurizio Fondriest. Un palmares con i baffi il suo, dove spiccano le due perle più belle della sua carriera, il Mondiale di Renaix 1988 a soli 23 anni e la Milano – Sanremo del 1993, conquistata grazie ad una fantastica ascesa del Poggio che gli permise di arrivare da solo sul lungomare ligure.
Conclusa la fase agonistica, il trentino ha deciso di continuare a rimanere legato al mondo delle due ruote, fondando quasi 10 anni fa una delle aziende di biciclette da corsa più rinomate a livello mondiale, che ci permette di continuare a vedere il nome Fondriest in gruppo.
Lo abbiamo interpellato per farci raccontare meglio questa grande passione che da sempre caratterizza la sua vita.

 

Come è nata la tua passione per il ciclismo?

Ho iniziato a correre perché mio papà andava in bici da giovane e faceva anche il commissario di gara. Con mio fratello andavamo a vedere le corse e potevamo anche salire sulla macchina del giudice entrando proprio nel vivo della gara e così un giorno abbiamo chiesto a mio padre se ci comprava una bici da corsa ed abbiamo iniziato.

La tua famiglia ti ha sostenuto in questa tua passione?

Sì, perché all’epoca non c’erano molti sport e la passione di famiglia era il ciclismo, quindi è diventata quasi una cosa normale andare a correre in bici.

Ricordi ancora la tua prima bici?

Era una Torpado bianca che aveva il manubrio dritto da uomo, con i parafanghi, abbiamo tolto tutto e l’abbiamo fatta diventare da corsa: i pedali con i cinghietti e successivamente mi hanno trovato anche due ruote con i tubolari.

Da ragazzino per chi tifavi?

Eddy Merckx.

Quale è stata la tua vittoria più bella?

La vittoria più bella è stata il Campionato del Mondo [Ronse (Belgio) 1988], perché porti la maglia per un anno, ma anche la Sanremo [1993], perché quel giorno è nata la mia prima figlia. Quindi il giorno più bello è stato quello della Classicissima di Primavera e la vittoria più bella è stata la conquista della maglia iridata.

La corsa che avresti tanto voluto vincere?

Il Giro delle Fiandre, era la corsa che amavo di più, ma non sono riuscito a fare meglio di un quarto, quinto posto. L’anno che sono arrivato quarto, il 1992, eravamo in fuga dalla prima ora e avevamo preso tanti minuti purtroppo però non sono riuscito a vincerla.

Il ricordo più bello e più brutto della tua carriera?

Il ricordo più bello è legato alla vittoria alla Sanremo quando è nata anche mia figlia, un’emozione doppia, indescrivibile. C’è però un’altra data importante, il giorno successivo della mia vittoria al Mondiale era il compleanno di mia moglie, che all’epoca era la mia fidanzata, compiva 17 anni, ed avevo portato in Belgio un anello da regalarle, ma glielo ho consegnato subito dopo la doccia! Due giorni speciali della mia vita che mi fa piace ricordare.

Dal punto di vista sportivo il ricordo più brutto è la delusione per il quarto posto alle Olimpiadi, non sono salito sul podio perché ho corso col bagnato e gli altri con l’asciutto; ma forse i giorni più difficili sono stati quando dovevo smettere di correre, perché da tempo avevo problemi con la schiena che mi impedivano di esprimermi al meglio. Dentro di me sapevo che valevo molto di più di quello che riuscivo a dare, ma i problemi fisici me lo impedivano, decidere di appendere la bici al chiodo è stata dura.

Fra i tanti campioni con cui hai avuto la possibilità di pedalare, chi era per te il più forte?

Ho sempre ammirato Gianni Bugno, ho duellato con lui anche nelle categorie minori, e fra gli altri corridori Miguel Indurain.

Oggi c’è un corridore su cui punteresti per il futuro?

Direi Gianni Moscon che passerà l’anno prossimo con Sky.

Quando correvi eri pignolo per quanto riguarda la bicicletta?

Ero un maniaco, soprattutto nella ricerca della posizione. Sono stato il primo a farmi tutte le dime per misurazioni, me le portavo anche in ritiro e mi mettevo a controllare le mie biciclette, adesso è una cosa normale, ma all’epoca nessuno ce le aveva.fondriest 4

Curavi molto l’alimentazione?

Ripensando alla cura maniacale di tante squadre, all’attenzione verso ogni dettaglio, alla frequenza di pedalate che hanno tutti adesso, credo che all’epoca facevo già le stesse cose. I vecchi mi prendevano in giro perché andavo a frequenze altissime su alcune strade, curavo molto l’alimentazione e le integrazioni naturali, insomma ero molto attento ad ogni dettaglio, mi piacerebbe molto correre in un ciclismo come quello attuale.

Cosa mangiavi prima e dopo una gara?

Più o meno le solite cose che si mangiano anche oggi. Cercavo però di ridurre il consumo di dolci, bibite gassate e i latticini che erano alimenti che mi davano fastidio.

Eri un corridore che ascoltava molto il direttore sportivo in gara oppure se riuscivi cercavi di fare di testa tua?

Ho sempre gestito molto il modo di correre, la tattica era concordata, però in corsa varie volte decidevo personalmente, magari anche sbagliando. Ripensandoci ho fatto decine di errori grossolani che spero di non far ripetere ai giovani che seguo, come ad esempio Gianni Moscon.

Hai vinto molto anche da dilettante, quando sei passato professionista ti sentivi già pronto per giocarti la vittoria con i ciclisti più esperti, o pensavi di maturare con calma cercando di carpire i segreti del mestiere dai più anziani?

Era un po’ diverso allora, oggi devi andare in una squadra importante per poter fare tutte le corse. Ai miei tempi anche se correvi in una squadra piccola potevi partecipare a corse importanti, ho vinto il Mondiale al secondo anno, ho fatto tanta esperienza anche sulla mia pelle. Comunque sono riuscito a vincere subito e a maturare perché avevo la testa per farlo e perché il ciclismo di un tempo me lo permetteva.

Nel 1988 hai vinto il campionato del mondo, cosa cambia nella vita di un ragazzo di appena 23 anni che vince la maglia iridata?

Da una parte non è semplice per un ragazzo giovane perché la maglia iridata è pesante da portare, c’era un’attenzione e una tensione forse eccessiva anche per un adulto.

Hai partecipato a tutti i grandi giri, quale è stato il più duro? Quali sono le differenze tra Giro, Tour e Vuelta?

Non trovo differenze a livello di durezza tra i tre Grandi Giri. Al Tour però c’è una pressione psicologica mediatica superiore agli altri, per questo forse è il più difficile, ma personalmente preferivo il Giro d’Italia perché aveva dei percorsi che si addicevano di più alle mie caratteristiche con tappe adatte anche a corridori scattanti con arrivi leggermente in salita, mentre al Tour, anche se sono arrivato 15esimo nel 1991, c’erano le tappe di pianura e le tappe di montagna, per le quali non ero così portato.

Hai vinto la coppa del mondo nel 1991 e 1993, è stata dura mantenere la condizione costante per tutta la stagione?

Non più di tanto perché ad esempio, quando l’ho vinta la prima volta, correvo per la Panasonic e preparavamo le classiche, il Tour ed il finale di stagione, non era un programma eccessivo, quindi molto fattibile.

Hai indossato tante volte la maglia della nazionale, è un emozione particolare correre con addosso la maglia azzurra?

Praticamente ho sempre vestito la maglia azzurra da dilettante in avanti, fino a quando ho smesso di correre, quindi c’ero un po’ abituato. L’emozione più grande l’ho provata quando la indossai per la prima volta, al primo anno da dilettante, in una gara minore in Grecia, anche se era una squadra b o c della nazionale ho vissuto in quell’occasione delle sensazioni particolari, indimenticabili.

Quando si è un atleta vincente è dura sostenere la tensione?

In questo caso si nota la differenza fra un campione ed un bravo corridore. Ci sono atleti molto forti che purtroppo quando si trovano la pressione addosso non riescono più a rendere come dovrebbero o vorrebbero.

Sei sposato da tanti anni con Ornella, quanto è importante il ruolo della moglie per un corridore?

Penso che sia importante nella vita di tutti e per un corridore forse ancora di più. Nei dieci / dodici anni che ho corso da professionista stavo via sei mesi all’anno quindi la gestione della famiglia ricadeva tutta su mia moglie e sicuramente non è stato semplice per lei. Ho trovato però una grandissima donna, forse è stata la più grande fortuna che ho avuto nella mia vita.

Nella tua carriera hai sofferto molto di mal di schiena, che problema avevi di preciso?

Fin da piccolo ho sempre sofferto, ma era più un dolore muscolare, poi nel ‘91 in vacanza a saltare nelle onde ho preso il colpo della strega e da li sono iniziati i problemi che mi sono trascinato negli anni. Sono stato operato anche all’ernia del disco che mi era uscita dopo una caduta e proprio per questo motivo la mia seconda parte della carriera non è stata semplice. Ho sempre corso soffrendo per i problemi alla schiena che mi hanno limitato sia nella condizione fisica che nella serenità mentale, ma nonostante questo posso ritenermi contento perché ho fatto cose che altri non avrebbero mai fatto.

Hai dei rimpianti per la tua carriera?

Nessun rimpianto, penso soltanto che se avessi corso in condizioni normali senza i problemi alla schiena avrei fatto molto di più, forse il doppio.

Hai mai pensato di fare il direttore sportivo?

Me lo avevano proposto, però ho deciso di cambiare strada, diventare direttore sportivo avrebbe significato continuare a fare la vita che facevo da ciclista invece volevo fare qualcosa di diverso. Mi piace molto seguire dei corridori, adesso Moscon e Conci, che sono due talenti, e mi impegna meno rispetto al ruolo di direttore sportivo.

Di tutti i viaggi che hai fatto c’è un luogo in particolare che ti porti nel cuore?

Il mondiale a Colorado Spring dove siamo stati tre settimane, non abbiamo avuto modo di fare i turisti ma quello che abbiamo visto in bici durante gli allenamenti mi è piaciuto molto. Stesso discorso per il mondiale in Colombia e quello in Giappone. Dopo aver corso molto in Belgio, che non è proprio un paese bellissimo, credo che questi sono i tre luoghi che mi hanno più colpito.

Quando hai deciso di appendere la bici al chiodo avevi 33 anni, all’inizio quanto ti sono mancate le corse?

All’inizio mi mancavano tantissimo, ma il problema di cui soffrivo alla schiena non sarebbe scomparso ed andare in bici era diventata una sofferenza, così questa decisione è stata inevitabile ed ho accettato meglio la lontananza dalle gare.

C’è qualcosa che hai imparato durante tutti gli anni di professionismo in bici che ti è poi servito nel mondo del lavoro?

Come dicevo prima i problemi fisici mi hanno insegnato a non mollare mai. Anche quando parlo ai ragazzi, ma anche nella vita normale, il mio motto è “non mollare mai” perché nella vita hai sempre delle sorprese…

Hai collaborato con alcune emittenti televisive come commentatore, come ti preparavi prima delle dirette?

Non era tanto il lavoro prima delle dirette quanto raccogliere le informazioni sui corridori. Mi piaceva andare a parlare con gli atleti alla partenza per sapere cose personali, mentre in cronaca ero molto più attento alle soluzioni tecniche e al posizionamento in bicicletta.

fondriest3Hai sempre pensato di restare nel mondo del ciclismo? come ti è nata l’idea di creare un telaio con il tuo nome?

Restare nel mondo del ciclismo è stata solo una conseguenza, perché l’idea di una nuova bicicletta è stata di mio fratello. Lui ha iniziato, poi quando ho preso io la gestione ho fatto un accordo con un’azienda padovana del gruppo Esperia e seguo in maniera più costante il mio marchio.

Ci descrivi i vari passaggi dall’idea, alla creazione, a come viene testato un nuovo telaio?

In questo momento sto creando un nuovo telaio che uscirà fra un paio d’anni….è un lavoro lungo perché prima si parte dall’idea ma non essendo un esperto vengo aiutato da un designer tedesco che lavora anche per case automobilistiche; si sviluppano poi delle proposte in 2D e con le migliori si passa al 3D, dopo le opportune correzioni nasce il prototipo in resina. Con il prototipo in mano sono molto più chiare le varie problematiche e le modifiche da fare. Risolti i vari problemi si passa alla fase ingegneristica, è un lavoro lungo e difficile. .

Quali saranno i materiali e le novità del futuro oltre ai freni a disco?

Per adesso il carbonio resta il materiale più usato per il telaio. Il freno a disco è una novità che è già arrivata sul mercato e che dovrebbe sostituire il freno normale. Nelle corse ufficiali ancora non viene usato, bisognerà forse aspettare un paio di anni e trovare nuove soluzioni per il cambio ruota in corsa.

Che difficoltà ci sono a commercializzare il proprio prodotto?

Non è assolutamente semplice perché adesso il mercato è cambiato e ci sono i gruppi Americani che sono mostruosi come grandezza, quindi per dei marchi piccoli diventa difficile, ma anche gli importanti marchi italiani hanno gli stessi problemi.

Negli ultimi anni si sente spesso parlare di bici con il motorino, pensi che ci sia il pericolo reale che qualcuno possa barare?

Il pericolo ci può essere sempre, però vengono fatti anche dei controlli adesso…il rumore del motorino lo senti…..però la possibilità c’è.

Sappiamo che oltre al negozio di Cles hai aperto anche “Fondriest bike fit” che si occupa del perfetto posizionamento in bici, quanto è importante la biomeccanica sulla salute dell’atleta?

E’ importantissima, penso che sia la cosa principale. Noi, ormai da 25 anni siamo molto attenti con i posizionamenti, siamo andati avanti anche con la tecnologia, lavorando sulla postura, sulle scarpe, sulle solette, insomma su tutta l’attrezzatura.

Chi devi ringraziare in modo particolare prima per il grande ciclista che sei diventato e poi per quello che sei riuscito a creare dopo la carriera?

I genitori sono i primi perché la genetica conta molto, anche se poi spetta a te coltivare le qualità che hai. Sicuramente Francesco Rensi che assieme a mio padre mi ha messo in bici e poi mi ha seguito durante tutta la mia carriera, e a lui devo tantissimo. Inoltre ho un grande rapporto con Mister Planckaert perché quando sono andato a correre in Belgio alla Panasonic, con lui ho avuto un grande cambiamento, ed è il direttore sportivo a cui sono più legato. Nella vita normale penso che sia mia moglie, a parte il fatto che è mia moglie, credo che sia la persona che mi ha aiutato di più.

 

Maurizio Fondriest
nato a Cles (Trento) il 15 gennaio 1965
Professionista dal 1987 al 1998
Squadre:
1987 – Ecoflam
1988 – Alfa Lum
1989-1990 – Del Tongo
1991-1992 – Panasonic
1993-1995 – Lampre
1996 – Roslotto
1997-1998 – Cofidis

 

 

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