Ieri, oggi, domani: Fabrizio Macchi un campione nello sport e nella vita!
Una grave malattia in giovane età può segnarti per tutta la vita, ma per Fabrizio Macchi è stata l’occasione per crescere ancora più velocemente e per superare con forza e volontà tutti gli ostacoli che gli si sono presentati. Il campione varesino, classe 1970, ha saputo infatti ritagliarsi un ruolo da protagonista nello sport e nel ciclismo in particolare, cogliendo tanti successi a livello mondiale che ne hanno fatto una delle bandiere anche nella lotta per le pari opportunità dei disabili. A quarantacinque anni ha detto basta anche per dedicarsi alla sua famiglia, ma cerchiamo di conoscerlo meglio, di capire come ha superato le difficoltà e cosa si aspetta dal proprio futuro.
Ci racconti brevemente la tua storia?
Sono nato a Varese il 26 luglio 1970, fin da bambino praticavo molti sport, come credo che facciano tutti i bambini di quell’età, giocavo a calcio, praticavo la ginnastica artistica, il ciclismo e l’atletica.
Un giorno ricordo di aver preso un tale colpo al ginocchio che pensai seriamente di averlo compromesso. Ma per un tredicenne lividi e botte sono all’ordine del giorno, bastava non pensare all’incidente e provare a correre nuovamente così si poteva tornava a spiccare il volo, come se niente fosse accaduto.
Quella volta non andò così. Il ginocchio continuava a farmi male. Il dolore proseguì per diversi giorni finché non decisi di parlarne a mia madre. Collezionai una serie invidiabile di accertamenti clinici. I primi risultarono sospetti poi, mano a mano che ci rivolgevamo a medici sempre più specialisti, i dubbi cominciarono a svanire e a farsi strada le ipotesi peggiori, che da qualche giorno avevano preso a sussurrarci.
Da piccolo ancora non sapevo cosa volevo dalla mia vita, poi ho avuto questa malattia e l’infanzia è scemata così. Intanto continuavo a studiare, in ospedale presi anche la licenza media. Questa fu la mia vita fino a sedici anni.
Nell’intero arco della mia permanenza ospedaliera accumulai più interventi del numero stesso dei miei anni: ebbene, dopo diciassette interventi e tanti cicli di chemioterapia persi la gamba sinistra.
Quando finalmente arrivò il giorno in cui dovevo essere dimesso, non sapevo come comportarmi: da un lato ero raggiante di poter rivivere al sole e all’aria, da un altro però avevo paura per il mio futuro. Il ritorno alla vita normale mi spaventava, ma la mia risposta fu ancora una volta positiva. Decisi di affrontare il mondo e appena fuori cercai di riprendere immediatamente i contatti con i miei vecchi amici. Allo stesso tempo mi impegnai in tutta una serie di attività: tantissima fisioterapia, molte ore di sport, e mi obbligai a far di tutto per cercare di recuperare il morale oltre che le forze.
Fortunatamente continuavo ad avere alle spalle una famiglia che mi sosteneva moltissimo. Tanto che ancora adesso, nonostante mio padre sia morto ormai da parecchi anni, continuo a sentire la sua forza vicino, ed sempre lui la persona che mi da più stimoli e forza morale.
Credo, in fin dei conti, di essere una persona fortunata e serena e di essere circondato dall’affetto di persone eccezionali.
Quali sono state le tue più grandi difficoltà nella vita di tutti i giorni dopo l’intervento? La tua famiglia come ti ha aiutato?
In realtà non ho mai avuto grandi difficoltà, all’inizio magari mi davano fastidio il comportamento e gli sguardi delle persone. La mia famiglia, ovvero la mia mamma ed il mio papà sono stati semplicemente fantastici. Loro mi parlavano sempre di futuro, mai di presente e passato e questo per me è stata una delle cose più importanti. Ancora oggi a distanza di anni penso al loro comportamento nei momenti di difficoltà.
Quale è stata la tua più grande forza nel riuscire a superare i periodi difficili?
Sicuramente l’affetto dei miei genitori e la mia voglia di superare sempre ogni ostacolo.
Come ti sei avvicinato al mondo sportivo?
Sono nato con lo sport, ho sempre praticato sport sin da piccolo. E’ la mia passione ed il mio stile di vita anche adesso che l’agonismo l’ho abbandonato.
Era il tuo sogno fin da piccolo diventare un atleta professionista? Chi era il tuo idolo?
Da piccolo non ne avevo uno in particolare. Successivamente quando sono cresciuto ho avuto l’opportunità di conoscere Alberto Tomba di frequentarlo nel periodo dei suoi grandi successi e di scambiare con lui idee. Da quel momento è stato per me un grande riferimento.
A cosa hai dovuto rinunciare e quali sacrifici hai dovuto fare per riuscire ad essere un atleta di alto livello?
Come ogni cosa, se la vuoi fare al 100%, devi darti delle regole. Nel mio caso la nutrizione, la regolarità di vita e la determinazione sono stati il punto cardine di tutto.
Hai vinto la maratona di New York tre volte e per tre volte il titolo italiano di salto in alto e in lungo, hai praticato canottaggio e sci, facendo anche da apripista ad Alberto Tomba ai mondiali di Sestriere, tra tutti questi sport quale è il più duro? Per quale motivo poi hai scelto il ciclismo?
Le discipline sportive sono dure tutte se fatte in modo serio. Ricordo molti allenamenti fatti alla Canottieri Gavirate, di un faticoso disumano. Sono stati dei periodi di vita che mi hanno insegnato davvero tanto. Al ciclismo ci sono arrivato quasi per caso, per una serie di coincidenze fortuite. Ho scoperto quasi subito che la bicicletta era il mezzo con il quale riuscivo ad esprimere al meglio le mie capacità. I risultati sono arrivati.
Quante ore al giorno ti allenavi in bici? Eri molto pignolo sia sul mezzo meccanico sia sull’alimentazione?
In media mi allenavo dalle 3 alle 5 ore al giorno per il ciclismo. Molto pignolo nella scelta dei materiali. Ho sempre utilizzato e sfruttato ogni tipo di tecnologia dalla galleria del vento in Ferrari ai test sui tessuti per trovare i materiali più aerodinamici e veloci.
Per quanto riguarda la mia alimentazione e nutrizione da moltissimi anni seguo i consigli nel mio nutrizionista Iader Fabbri e di Named Sport, azienda a cui devo moltissimo.
Hai fatto ciclismo su pista, battendo il record dell’ora 4 volte, e hai vinto tanto anche su strada, qual è la disciplina più impegnativa per te?
Sicuramente i record dell’ora sono stati devastanti ed allo stesso tempo divertenti. Credo però che le cronometro siano state per me davvero impegnative da preparare. Ne ho vinte tante, ho vinto due medaglie mondiali contro il tempo.. ma quanta fatica.
Hai vinto ben 12 medaglie mondiali, quale è stata la più emozionante? Ricordi ancora la tua prima vittoria in assoluto?
Credo che le due maglie iridate conquistate a cronometro siano state in assoluto le più emozionanti. La prima vinta nel 2009 in Italia strepitosa davanti a Thomas il mio bimbo più grande… era la prima volta che veniva a vedere una mia gara, l’ho dedicata a lui. L’anno successivo in Canada nel 2010 ho bissato l’oro ed una settimana dopo è nato Mattia il mio secondo figlio… una medaglia d’oro anche per lui.
Hai vinto la medaglia di bronzo nell’inseguimento su pista alle Olimpiadi di Atene nel 2004; c’è molta differenza nel gareggiare ad una olimpiade rispetto ad un’altra manifestazione importante? Che atmosfera c’è nel villaggio olimpico?
Sicuramente prendere parte ad una Olimpiade è il sogno di ogni atleta, se poi hai la fortuna di salire sul podio è straordinario. E’ diversa perché l’accesso a tale evento è limitato a pochi atleti per nazione. E’ diversa perché si disputa ogni 4 anni e quindi non hai possibilità di repliche a breve… insomma è una cosa unica nel suo genere. Il villaggio olimpico è proprio l’essenza di quello che ho detto prima unico nel suo genere in tutto e per tutto.
Quale è stato il momento più bello e quello più brutto della tua carriera?
I piu belli i due mondiali vinti davanti agli occhi della mia famiglia, il piu brutto credo il mondiale su strada perso in Italia del 2009 quando a 500 metri dalla fine ero solo davanti a tutti ed a causa di un guasto meccanico (catena caduta) sono arrivato quarto. Avrei potuto fare la doppietta iridata cronometro e gara su strada.
Hai avuto la fortuna di viaggiare molto, in quale paese ti sei sentito a casa nel senso che hai trovato un paese all’avanguardia per persone come te che hanno una disabilità fisica, c’è un luogo che ti porti nel cuore?
Senza ombra di dubbio l’Australia in particolare Sydney.
C’è un campione che hai incontrato nel mondo sportivo e che ammiri maggiormente?
Alberto Tomba, è stato il primo a credere nel mio potenziale e nei miei mezzi. Dal primo giorno che ci siamo incontrati è nata una grande amicizia che dura tutt’oggi.
A chi ti senti di dire grazie per l’uomo e l’atleta che sei diventato?
I miei genitori ed inseguito a mia moglie Patrizia.
Come hai maturato la decisione di smettere di correre? Ti è spiaciuto parecchio o eri consapevole che era giunta l’ora?
A 45 anni è arrivata l’ora di iniziare a lavorare sul serio. Ho avuto una carriera super come pochi al mondo e sono davvero felice di seguire da vicino tutto quello che fanno i miei figli. Forse sarebbe stato meglio smettere qualche anno prima.
Cosa ti manca di più delle gare?
Francamente non mi manca nulla, ho gareggiato per tutta la mia vita, ora mi rimane la vera passione per lo sport.
Quando ripensi alla tua carriera sei soddisfatto o hai qualche rimpianto?
Estremamente soddisfatto.. cosa avrei potuto chiedere di piu?
Di cosa ti occupi oggi?
Di un grande progetto per migliorare la qualità della vita delle persone… ma per ora non chiedermi quale.. tra poco lo vedrete.
Hai scritto un libro “Più forte del male” che parla della tua vita, e hai voluto donare tutti proventi delle vendite all’AIRC, se dovessi dare un messaggio a qualcuno che si trova ora in una situazione simile a quella in cui ti sei trovato tu tanti anni fa, che consiglio gli daresti?
Che nulla è impossibile, bisogna perseverare per riuscire a realizzare il proprio obiettivo e che i limiti veri sono nella mente e non nel fisico.
E’ stato appena pubblicato un tuo nuovo libro, con la collaborazione di tuo figlio Thomas: “Il mio papà ha una gamba sola” come è nata questa idea?
E’ nata guardando Thomas alla ricreazione a scuola, ho visto come rispondeva alle domande sulla disabilità che i suoi compagni gli ponevano.. e mi è venuta l’idea di questo fumetto dove Thomas e Mattia raccontano con la loro spontaneità come vivono tutto questo.
Cosa bisognerebbe fare per valorizzare al meglio lo sport paraolimpico?
Proseguire su quello che si sta facendo, cercando sempre di più di vedere gli aspetti positivi e buoni di ogni persona, non soffermarsi su quello che non ha oppure quello che non può fare.
Cosa manca al nostro paese per essere veramente vivibile da tutti? Qual è la prima cosa che miglioreresti?
Domanda molto difficile…io adesso vivo in Svizzera, sono diventato anche cittadino svizzero. Mi piace molto questa realtà e come si vive qui.
Intervista realizzata da Laura Corsini